Rapsodia Mediterranea

Lo sciabordìo del rusciu continua a suonare, inesorabile, dall’Intro: la terraferma è ancora lontana.

D’intorno soltanto il mare, mentre il bouzouki si apre ad accogliere il marranzano, le percussioni e il violino. Un coro di voci femminili si spiega in un lamento lento e costante, nella storia terribilmente attuale dei giorni bui e tetri che vedono esseri umani in fuga costretti al largo, preclusi loro il soccorso e la salvezza.

A scandire il passaggio da un momento all’altro del dramma esistenziale e del canto concorre l’avvicendarsi degli strumenti a fiato, i più antichi e i più vicini al canto umano. Il friscaletto, dirompendo, porta al levarsi di una delle voci femminili che si rivolge direttamente all’altro che lo vuole straniero, in un confronto inevitabile e duro, in nome dell’umanità.

Il clarinetto retrocede verso luoghi esotici, lontani, e il mare si apre; la barca di fortuna che trasporta il canto si appresta a raggiungere la riva con la risacca, incantata dal friscaletto, al ritmo battente della pizzica: il coro delle voci umane si fa fitto, si avvicenda, si completa solidale, portatore di una coscienza sociale antica.

Se il termine rapsodia sta a indicare, da un lato, gli squarci musicali diversi che compongono il brano – esplicitando il riferimento al carattere composito e mediterraneo della melodia –, dall’altro ricorda il canto del rapsodo, autore e recitatore di versi, portatore di una memoria orale che sopravviveva by heart, nel cuore della comunità che la ascoltava. E in fondo è questo l’obiettivo: riportare al cuore dell’ascoltatore la necessità di assumere una posizione rispetto al sonno del nostro tempo, che sia la consapevolezza della nostra uguaglianza nella categoria del popolo, dei lavoratori e delle lavoratrici, degli oppressi, di coloro che amano e che sanno sorridere e gioire nelle avversità dell’esistenza a dispetto della logica dominante alla quale è stato e sarà sempre possibile resistere opponendovi gaudio e socialità. E sarà da questa presa di coscienza che si avvierà la scoperta del Sud di Meridiana, una volta raggiunta la terraferma.

La gestazione di questo brano è stata lunga e complessa, proprio come la tematica che tratta.

Di seguito, il testo – con traduzione – di Rapsodia mediterranea.

Vulia sapere quanto su luntano
de lu paisu meu, de lu miu amuri…
M’hanno legato a nu scogliu de mari
duvi un ci vatti nè Sole nè Luna,
duvi un ci vatti nè Sole nè Luna!

Chianciti madri mo chianciti forti,
chianciti i figli afflitti e scunsulati
cca nmiezzu a mare mo so abbandunati,
ca notte e iornu arraggiano de siti,
ca notte e iornu arraggiano de siti!

Vedo la terra mia, è nu miraggio!
Nu sacciu che m’aspetta, c’aggia fare
p’avé na vìta onesta, nu stuezzu de pane…
Ve scurdaste como fu per voi partire?
Ve scurdaste como fu per voi partire?

«Da nnatra vanna sciate,
qua ci sta la fame!»,
dicite sempre, mo a ogni ura…
Mentre di tutti noi simo abbandunate/i,
lu mari s’apre e se fa sepoltura,
lu mari s’apre e se fa sepoltura.

Lassamu madri mogli frati e figli,
cridite ca ne sciamu pe sciucare?
Ne spigne nu padrone ca sulu vole
tutta la terra nostra pi la sfruttare!
Ne spigne nu padrone ca sulu vole
tutta la terra nostra pi la sfruttare!

Ma nun vidite mo la sustanza?
Tra nui e vui nun ste differenza!
Speramu tutti sempre e respiramu,
cantamu tutti e in coro tutti ballamu!
Speramu tutti sempre e respiramu,
cantamu tutti e in coro tutti ballamu!

E mo nun ve faciti cchiù ingannare,
ascoltalu stu cantu, nu lo ignorare!
Sta sulu nu padrone da rovesciare:
è lu sistema ca ne face scappare!

È lu sistema ca ne face scappare:
mo tutti insieme l’amma rovesciare!
È lu sistema ca ne face scappare:
mo tutti insieme l’amma rovesciare!
È lu sistema ca ne face scappare:
mo tutti insieme l’amma rovesciare!

È lu sistema ca ne face scappare:
mo tutti insieme l’amma rovesciare!

Di seguito, la traduzione:

Vorrei sapere quanto sono lontano 
dal mio paese, dal mio amore…
Mi hanno legato a uno scoglio di mare
su cui non batte il Sole nè la Luna,
su cui non batte il Sole nè la Luna!

Piangete, madri, piangete forte,
piangete i figli afflitti e sconsolati
che vengono abbandonati in mezzo al mare,
che notte e giorno soffrono per la sete,
che notte e giorno soffrono per la sete!

Vedo la mia terra, è un miraggio!
Non so che cosa mi aspetta, che dovrei fare
per condurre una vita onesta o ottenere un pezzo di pane…
Vi scordaste come fu per voi partire?
Vi scordaste come fu per voi partire?

«Andate da un’altra parte,
qui c’è la fame»
ci dite sempre, a ogni ora…
Mentre da tutti veniamo abbandonati/e,
il mare si apre e si fa sepoltura,
il mare si apre e si fa sepoltura.

Lasciamo madri, mogli, fratelli e figli
credete che ce ne andiamo per gioco?
Ci spinge un padrone che vuole soltanto
tutta la nostra terra per sfruttarla!
Ci spinge un padrone che vuole soltanto
tutta la nostra terra per sfruttarla!


Ma non vedete la sostanza?
Tra noi e voi non c’è differenza!
Speriamo tutti sempre e respiriamo
cantiamo tutti e in coro tutti balliamo!
Speriamo tutti sempre e respiriamo
cantiamo tutti e in coro tutti balliamo!


E ora non lasciatevi più ingannare
ascolta questo canto, non ignorarlo!
C’è un solo padrone da rovesciare:
è il sistema che ci costringe a scappare!

È il sistema che ci costringe a scappare:
ora tutti insieme lo dobbiamo rovesciare!
È il sistema che ci costringe a scappare:
ora tutti insieme lo dobbiamo rovesciare!
È il sistema che ci costringe a scappare:
ora tutti insieme lo dobbiamo rovesciare!

È il sistema che ci costringe a scappare:
ora tutti insieme lo dobbiamo rovesciare!

Intro a Meridiana

Come promesso nell’articolo in cui vi abbiamo presentato il nostro primo disco, Meridiana, in queste settimane entreremo nei dettagli di ogni traccia: vi spiegheremo il percorso personale, culturale e musicale che ci ha portato a comporre le musiche e le parole che danno corpo a Meridiana.

Nel disco non ci sono solo nostri inediti, anzi: siamo nati dalla piazza e dalla piazza abbiamo attinto una tradizione popolare di cui ci sentiamo (al)fieri. Se da un lato ci risulta più difficile andare nei paesini ad apprendere e a registrare la tradizione orale direttamente dagli anziani dei luoghi da cui provengono i canti e i suoni del nostro repertorio, portando avanti il lavoro di ricerca etnomusicologica condotto negli ultimi decenni dai gruppi musicali nostra fonte di ispirazione, dall’altro la città universitaria in cui viviamo ci ha permesso di entrare in contatto con tante altre culture – del Sud Italia e non solo – e di avere a che fare con le nuove migrazioni del nostro tempo: tra queste annoveriamo sì le nottate di treno che ci sorbiamo per tornare in terra natìa, tenendo in conto però che la nostra comodità non è riservata nè tantomeno concepibile per altri e altre dal destino fraterno. Ed è di questo eterno partire – ed eterno patire – che parla la traccia che vi presentiamo oggi: l’Intro a Meridiana.

Il rumore del mare generato dal nostro rusciu artigianale – strumento così rinominato dal termine onomatopeico che dà nome a un celebre brano della tradizione salentina: Lu rusciu de lu mare, per l’appunto –, il ritmo ipnotico del marranzano e della darabouka vogliono calare sin da subito l’ascoltatore nel cuore di Meridiana accompagnando le parole di quello che può essere considerato il manifesto programmatico dell’album e del nostro percorso di rielaborazione musicale.

Il testo dell’introduzione, come quello di Rapsodia mediterranea, presenta termini attinti da diversi dialetti, quali siciliano e salentino, ma anche desinenze prettamente meridionali italianizzate e termini in italiano; così composto, il linguaggio si propone come una lingua franca che non conosca confini nella babele linguistica e culturale del viaggio oltremare, nel passaggio da una sponda all’altra del bacino mediterraneo, nell’approdo in un sud Italia indeterminato e senza tempo.

Simu li masculi e simu le femmine,
nati come sciuri dalla terra assolata,
ca dopo nati, fatiano;
e quannu fatia nun c’ete,
o amuri chiù nun avìa,
lassata la casa e ogni paura
pigghiamu
e partimu.

Questa sola legge canuscimu:
lu Sule ca chianu chianu ‘nchiana,
e na vota nchianatu, cala,
e face lario alla luna
e alli stelle.
A questa sola guida ne affidamu:
allu cantu ca mai se scevra
delli gioie e delli turmenti
ca in ogni stagione del tempo loro
li esseri umani

patiscono
e godono.

Di seguito, la traduzione: 

Siamo i maschi e siamo le femmine
nati come fiori dalla terra assolata,
che dopo essere venuti al mondo, lavorano;
e quando non c’è lavoro,
o non abbiamo più l’amore,
lasciata la casa e ogni paura,
subito partiamo.

Questa sola legge conosciamo:
il Sole che lentamente sale
e, una volta in alto,
cala, e fa largo alla luna e alle stelle.
A questa sola guida ci affidiamo:
al canto mai dimentico delle gioie e dei tormenti
che in ogni stagione del loro tempo
gli esseri umani
patiscono
e godono.

Buon ascolto! 😉