Intro a Meridiana

Come promesso nell’articolo in cui vi abbiamo presentato il nostro primo disco, Meridiana, in queste settimane entreremo nei dettagli di ogni traccia: vi spiegheremo il percorso personale, culturale e musicale che ci ha portato a comporre le musiche e le parole che danno corpo a Meridiana.

Nel disco non ci sono solo nostri inediti, anzi: siamo nati dalla piazza e dalla piazza abbiamo attinto una tradizione popolare di cui ci sentiamo (al)fieri. Se da un lato ci risulta più difficile andare nei paesini ad apprendere e a registrare la tradizione orale direttamente dagli anziani dei luoghi da cui provengono i canti e i suoni del nostro repertorio, portando avanti il lavoro di ricerca etnomusicologica condotto negli ultimi decenni dai gruppi musicali nostra fonte di ispirazione, dall’altro la città universitaria in cui viviamo ci ha permesso di entrare in contatto con tante altre culture – del Sud Italia e non solo – e di avere a che fare con le nuove migrazioni del nostro tempo: tra queste annoveriamo sì le nottate di treno che ci sorbiamo per tornare in terra natìa, tenendo in conto però che la nostra comodità non è riservata nè tantomeno concepibile per altri e altre dal destino fraterno. Ed è di questo eterno partire – ed eterno patire – che parla la traccia che vi presentiamo oggi: l’Intro a Meridiana.

Il rumore del mare generato dal nostro rusciu artigianale – strumento così rinominato dal termine onomatopeico che dà nome a un celebre brano della tradizione salentina: Lu rusciu de lu mare, per l’appunto –, il ritmo ipnotico del marranzano e della darabouka vogliono calare sin da subito l’ascoltatore nel cuore di Meridiana accompagnando le parole di quello che può essere considerato il manifesto programmatico dell’album e del nostro percorso di rielaborazione musicale.

Il testo dell’introduzione, come quello di Rapsodia mediterranea, presenta termini attinti da diversi dialetti, quali siciliano e salentino, ma anche desinenze prettamente meridionali italianizzate e termini in italiano; così composto, il linguaggio si propone come una lingua franca che non conosca confini nella babele linguistica e culturale del viaggio oltremare, nel passaggio da una sponda all’altra del bacino mediterraneo, nell’approdo in un sud Italia indeterminato e senza tempo.

Simu li masculi e simu le femmine,
nati come sciuri dalla terra assolata,
ca dopo nati, fatiano;
e quannu fatia nun c’ete,
o amuri chiù nun avìa,
lassata la casa e ogni paura
pigghiamu
e partimu.

Questa sola legge canuscimu:
lu Sule ca chianu chianu ‘nchiana,
e na vota nchianatu, cala,
e face lario alla luna
e alli stelle.
A questa sola guida ne affidamu:
allu cantu ca mai se scevra
delli gioie e delli turmenti
ca in ogni stagione del tempo loro
li esseri umani

patiscono
e godono.

Di seguito, la traduzione: 

Siamo i maschi e siamo le femmine
nati come fiori dalla terra assolata,
che dopo essere venuti al mondo, lavorano;
e quando non c’è lavoro,
o non abbiamo più l’amore,
lasciata la casa e ogni paura,
subito partiamo.

Questa sola legge conosciamo:
il Sole che lentamente sale
e, una volta in alto,
cala, e fa largo alla luna e alle stelle.
A questa sola guida ci affidiamo:
al canto mai dimentico delle gioie e dei tormenti
che in ogni stagione del loro tempo
gli esseri umani
patiscono
e godono.

Buon ascolto! 😉

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