Bis, BlissBeat!

Ci sono posti in cui il tempo si dilata.

Può capitare, per esempio, che perdendosi tra le campagne piemontesi si finisca in una specie di Shangri-La in cui le arti si fondono: questo posto si chiama BlissBeat Festival. D’altronde, l’etimologia stessa di “musica” (dal greco μουσική, letto mūsikḗ, che significa “l’arte di tutte le muse”) indica la collegialità di quest’arte: e così, tra una sessione di yoga e le onde della piscina, anche noi abbiamo sentito di voler raccogliere delle vibrazioni dall’ambiente e restituire le vibrazioni che ci piace produrre – quelle sonore.

Ma cosa sono queste vibrazioni? Qualsiasi essere vivente produce una musica: cantando, suonando, camminando, ma anche solo respirando. Non possiamo farne a meno: noi siamo vibrazioni, recepiamo vibrazioni, produciamo vibrazioni. La giusta frequenza può mandare in frantumi alcuni materiali, e anche noi ci sentiamo sciogliere quando sentiamo quella canzone.

Se poi la canzone non la stiamo sentendo solo dall’esterno, ma addirittura la stiamo cantando o suonando noi, beh, qui la cosa raggiunge un ulteriore grado di complessità. In questo caso, le vibrazioni vengono non solo dall’esterno, incanalate dal nostro orecchio e tradotte in un segnale intelligibile dal nostro cervello: vengono dal cervello stesso, dalle ossa del cranio che vibrano insieme alla voce. È questo il motivo per cui quando sentiamo la nostra voce registrata ci suona innaturale, non familiare, e, tipicamente, peggiore: chissà se anche i grandi cantanti sono insoddisfatti della propria voce, la prima volta che la sentono registrata. E pensate ai giganti canori di quel passato in cui, non essendo ancora stato inventato il microfono e il registratore, gli unici a non poter godere di quella bellissima voce erano proprio – paradossalmente – le persone che la emettevano, e che passavano la vita ad ascoltarne solo la versione “filtrata”! Passiamo la vita a sentire la nostra voce anche attraverso le ossa craniche, convinti che sia quella la nostra voce, ma non è così: se proprio abbiamo una voce specifica, questa è la voce che sentono tutti gli altri quando noi parliamo.

Ma le ossa craniche non sono le uniche parti del corpo attraversate dalle nostre vibrazioni. Quando cantiamo o suoniamo una canzone che ci tocca nel profondo, le sue note ci muovono pienamente: prima di uscire dalla bocca, ogni nota ci è passata per tutto il resto del corpo e dell’anima. Quell’anima che in tante culture altro non è che il soffio vitale, una nota che può unirsi ad altre formando i battimenti oppure sincronizzandosi in una proporzione armoniosa: il proverbiale “om” (ॐ) sulla cui ripetizione si fonda il concetto di mantra.

Durante il festival, ci è stato fatto osservare che anche le nostre canzoni erano dei mantra: quel ritmo incalzante, quella tensione accumulata e poi liberata in un assolo, quel ballo scatenato… Noi non ce ne eravamo mai resi conto davvero, ma in fondo non stavamo facendo una cosa così diversa da chi praticava yoga o meditava: era solo la modalità che era diversa.

Ed è stato emozionante sentirsi parte di questo insieme: durante le jam sessions, giocando con i bambini in piscina, partecipando incuriositi a tutte quelle strane pratiche in cui non ci eravamo mai calati davvero, e vedendo la partecipazione di chi ci ascoltava… Ci sono stati chiesti dei bis, e abbiamo esaudito questa richiesta.

Ora il bis lo chiediamo noi al BlissBeat Festival: ci vediamo l’anno prossimo? 😉

Un ringraziamento ad Antonio Affatati per questa e altre bellissime foto
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